Se in Italia il populismo è politico, in Germania è economico

22.06.2020

di Donatello D'Andrea

Martedì 5 maggio la Corte Costituzionale tedesca ha respinto un ricorso contro il programma europeo di acquisto dei titoli di stato pubblici, effettuato dalla Banca Centrale Europea e noto come "Quantitative Easing". Allo stesso tempo, però, ha dato tre mesi di tempo alla BCE per spiegare le ragioni economiche che giustificano tale programma. Inoltre, la stessa ha anche chiesto al governo e al Parlamento tedesco di monitorare più da vicino la Banca Centrale, affinché quest'ultima possa spiegare al meglio ogni scelta che intenda prendere.

Se non è un sentenza "di sfiducia" poco ci manca, verrebbe da dire. Sembra che la Corte tedesca poco si fidi del lavoro compiuto dall'organo bancario centrale, il quale sta provando comunque ad elaborare una risposta finanziaria alla più grande emergenza sanitaria ed economica degli ultimi tempi.

Difficilmente, comunque, la sentenza avrà un effetto diretto e immediato. La BCE, che in questi anni si è data da fare pubblicando commenti, interviste, paper e studi per spiegare i ragionamenti economici dietro le sue scelte, sicuramente non avrà problemi a fornire i chiarimenti che la Corte ha chiesto con tanta insistenza, addirittura imponendo una sorta di ultimatum. Non c'è rischio che il supremo tribunale tedesco metta in atto la sua minaccia, cioè ordinare alla Bundesbank di ritirarsi dal programma di acquisto titoli, un gesto che avrebbe conseguenze su tutta l'economia europea.

Se gli effetti economici non sono rilevanti, il giudizio di martedì reca con sé delle evidenti implicazioni a livello politico. Il massimo organo giurisdizionale tedesco ha scritto che la Corte di Giustizia dell'UE ha commesso un grande errore quando ha giudicato conforme ai trattati europei il programma della della BCE. Questa, dal canto suo, ha risposto che una corte nazionale non può accusare quella europea di non rispettare il diritto comunitario.

Se gli scontri tra gli organi giurisdizionali nazionali e quelli europei vanno avanti da tempo, in questo caso è successo qualcosa di diverso: questa volta una corte nazionale ha mosso un insidioso attacco senza precedenti a due delle più importanti articolazioni dell'Unione Europea, quella economico-finanziaria e quella giudiziaria.

Si tratta di un'azione che produrrà sicuramente delle conseguenze nel lungo periodo, spingendo molti stati recalcitranti verso il QE e soprattutto il nuovo "PEPP" a presentare ricorsi, con tutte le conseguenze, potenzialmente molto gravi.

Se in Italia il populismo ha delle conformazioni ben delineate solamente a livello politico, in Germania, data la particolare situazione, il populismo si manifesta dal punto di vista economico. Infatti, la decisione della Corte tedesca è stata accolta con entusiasmo, in particolare da politici e giornali conservatori, che vedono in questa sentenza un azione di responsabilità nei confronti della BCE. Altri hanno ricordato che la politica dei bassi tassi di interesse della BCE avrebbe ridotto i rendimenti degli investimenti operati dalle imprese e dalle famiglie tedesche.

La reazione straniera alla sentenza

Fuori dalla Germania il giudizio della Corte è stato accolto negativamente. Nello specifico i giornali hanno fatto notare una contraddizione profonda tra la tradizione tedesca, la quale ritiene che le banche centrali debbano essere indipendenti alla politica, e la richiesta al governo tedesco di vigilare sull'attività della BCE.

Inoltre, il motivo per cui la stessa sentenza ha giustificato un atteggiamento del genere è molto discutibile. La Corte ha scritto che la BCE non avrebbe tenuto conto delle conseguenze indirette delle sue azioni nei confronti dell'acquisto dei titoli, concentrandosi solo sul suo mandato principale, cioè il mantenimento ad ogni costo del tasso di inflazione al di sotto del 2%.

Questo non corrisponde al vero. La folta documentazione a disposizione della Banca Centrale Europea sottolinea come un'azione del genere sia necessaria per mantenere in vita la zona euro. Anche Mario Draghi, l'ex Presidente della BCE, aveva risposto di persona alle stesse critiche mosse dalla stessa Corte qualche anno fa, sottolineando come i risparmiatori tedeschi avrebbero perso molti più soldi se la BCE avesse tenuto i tassi di interesse più alti.

La Corte di Giustizia è intervenuta dopo la sentenza tedesca sulla BCE e lo ha fatto per difendere le proprie competenze e prerogative.

"solo la Corte di Giustizia può garantire un'applicazione uniforme del diritto         dell'Unione e solo questa è competente a constatare se un atto di una istituzione dell'Unione è contrario al diritto dell'Unione".

Nella nota poi si aggiunge che "eventuali divergenze tra i giudici degli stati membri in merito alla validità di atti del genere potrebbero compromettere l'unità dell'ordinamento giuridico dell'Unione e pregiudicare la certezza del diritto". Inoltre, in ossequio alla supremazia del diritto comunitario rispetto a quello nazionale, i giudici degli stati membri sono obbligati a garantire l'efficacia del diritto europeo.

Reazioni stizzite arrivano anche da Parigi tramite le parole del governatore della Banca Centrale Francese e del Ministro dell'Economia, quali in coro hanno risposto duramente alla sentenza della Corte tedesca, difendendo gli organi dell'Unione Europea. L'atto d'accusa non è piaciuto nemmeno all'Italia, la quale tramite le parole di Giuseppe Conte e del Ministro Roberto Gualtieri ha ricordato che l'indipendenza della Banca Centrale è il fulcro dei trattati e nessuna Corte Costituzionale "può dirle cosa può o non può fare".

Le motivazioni politiche della sentenza...

Più che una sentenza, lo sgarbo tedesco è stato un atto di accusa, il quale va disinnescato al più presto per tutelare l'immagine di tutte le istituzioni coinvolte a livello europeo. Il rischio è che la Bundesbank, la prima azionista della BCE, se non riterrà valide le motivazioni economiche della Banca Centrale, si chiamerà fuori dai programmi di acquisto dei titoli sovrani. La pronuncia investe in pieno il vecchio Quantitative Easing di Mario Draghi, ma è chiaro che va letta anche alla luce del nuovo programma di acquisto inaugurato da Christine Lagarde, la quale dal canto suo ha detto che continuerà a sostenerlo nonostante la sentenza. Tale programma interessa circa 750 miliardi di euro in acquisti di titoli, mettendo da parte limiti auto-imposti dalla stessa Banca circa la proporzionalità dell'acquisto degli stessi a causa dell'emergenza che ha colpito economie già sofferenti.

In sostanza la sentenza mette in luce alcune controversie, mai risolte, tra il diritto europeo e quello dei singoli stati. Per principio, il primo prevale sempre sul secondo ma la decisione dei giudici tedeschi sostiene che questo sia vero fino ad un certo punto, cioè fino a quando questo non intacchi lo spirito costituzionale degli stati membri. Stando alla pronuncia, tutto quello che concerne la politica monetaria e il bilancio finanziario di una nazione permette ad uno stato di agire autonomamente. Quindi, nel caso in cui i programmi europei di natura fiscale ed economica cozzino con il bilancio dello stato, quest'ultimo può decidere di non prendervi parte.

Questo contrasta con il principio di comunità che ha animato la fondazione dell'Unione Europea.

La sentenza politica crea un precedente che potrebbe avere delle conseguenze non solo sulle istituzioni europee ma anche sul futuro della moneta unica. Nuovi ricorsi giudiziari di questo tipo sono alle porte e la Polonia ha già fatto sapere di concordare con la sentenza ("la Germania difende la propria sovranità"). Il rischio è di vanificare tutti gli sforzi messi in atto dall'Unione per approvare un programma di aiuti per gli stati in difficoltà, Italia compresa.

...E quelle economiche

Nell'immediato la BCE potrà comunque continuare con il suo piano di QE. Anzi, questa potrà continuare ad operare anche con il PEPP, ovvero il piano di acquisto di titoli pubblici e privati messo in campo dalla BCE a causa del Covid. Malgrado questo, però, rimane un fatto: le misure straordinarie messe in campo da Lagarde possono essere fortemente limitate dall'intervento di un'altra corte nazionale. Un rischio che potrebbe essere maggiore in merito al PEPP. Se, ad esempio, l'Olanda o un Paese nordico si esprimesse per tramite della propria Corte Costituzionale contro quest'ultimo, cosa accadrebbe? In poche parole un disastro.

Quali sono i criteri attraverso cui si muove il PEPP? Sostanzialmente sono due e fanno riferimento alla cosiddetta "capital key": la BCE dovrebbe acquistare di norma da ogni Paese della zona euro una quantità di titoli di debito proporzionale alla quota di capitale detenuto nella BCE da ogni singolo stato. Per l'Italia si tratterebbe del 13,8%, solo che gli acquisti effettuati negli ultimi tempi dalla Banca sono stati il doppio. Basti pensare che in una settimana la BCE ha acquistato 12 miliardi di euro di titoli. Questa deroga non potrà durare all'infinito. Se Lagarde non annunciasse una estensione del PEPP per i prossimi mesi o un ampliamento dell'ammontare di titoli acquistabili, già nei prossimi mesi la Banca potrebbe anche decidere di acquistare meno titoli italiani e più tedeschi (o di altri Paesi).

Il secondo criterio che muove il PEPP è il più importante: la BCE acquista titoli con un rating sotto il livello "spazzatura". Ad aprile la Banca aveva già concesso una proroga speciale alla Grecia ma in vista di possibili downgrade, anche per l'Italia, Christine Lagarde si è già impegnata a garantire un loro acquisto.

E se la Corte tedesca reputasse come "insufficienti" le spiegazioni chieste alla BCE? Se la Banca fosse impossibilitata a fare il proprio lavoro, sarebbero ben pochi gli strumenti in grado di garantire la sopravvivenza dei più deboli e dell'intera Eurozona. Ci sarebbe l'OMT, il cosiddetto "bazooka di Mario Draghi", uno strumento potentissimo che dovrebbe evitare il fallimento di un Paese membro e il conseguente crollo dell'intera Unione Europea. In pratica la BCE acquisterebbe titoli senza alcun limite. Per poterlo usare, però, bisogna ricorrere ad uno strumento ora sulla bocca di tutti: il MES, con tutte le sue condizionalità.

Ma questi ragionamenti fanno tutti riferimento all'intervento della Banca Centrale. E' come se tutte le responsabilità dovessero ricadere su una sola istituzione comunitaria. Non può essere così. Innanzitutto la responsabilità non deve essere addossata ad una sola istituzione e pure economica. La responsabilità deve essere innanzitutto politica. E in effetti l'Europa si è mossa approntando un piano comune attraverso il SURE, i prestiti della BEI e il MES "ultralight". Questi non bastano. La vera risposta alla crisi è tra le mani della Commissione. Europea che sta approntando il Recovery Fund, il quale dovrà mettere d'accordo tutti.

Un populismo economico che imbarazza quello politico

Se in Italia il populismo è prevalentemente politico, in Germania i giudici tedeschi hanno compiuto un vero e proprio atto di populismo economico. Basta leggere la sentenza.

I giudici hanno rimesso in discussione il QE, chiedendo alla Merkel di negoziare con la Banca Centrale Europea i termini dell'intervento bancario a favore dei titoli di stato perché secondo loro eccede i limiti stretti delle finalità che l'Unione persegue secondo l'art. 127 del TFUE. Secondo la Corte, la BCE sta violando il principio di proporzionalità, causando un danno ai risparmiatori tedeschi.

Il testo del provvedimento fa emergere un invito nemmeno troppo sottinteso a usufruire del MES, che almeno consente la sorveglianza del creditore. In particolare il PSPP, cioè l'acquisto di titoli pubblici e privati, "migliora le condizioni di rifinanziamento degli Stati membri in quanto consente loro di ottenere finanziamenti sui mercati a condizioni notevolmente migliori di quanto accade in assenza del programma...Il PSSP potrebbe avere gli stessi effetti del Meccanismo Europeo di stabilità".

Nella sentenza la Corte cita tutte le categorie colpite dal programma europeo, il quale colpisce i risparmi privati dei cittadini e quelli delle imprese. Più questo continuerà a produrre i suoi effetti sulla zona euro, più questa diventerà dipendente dalla politica degli stati membri in quanto la BCE non potrebbe più semplicemente concludere e annullare il programma senza che la stabilità della moneta vacilli.

Si tratta di argomentazioni che non sfigurerebbero in un programma di un partito populista: "la generosità tedesca, i risparmi dei cittadini, il futuro del Paese, l'Europa dalla parte dei Paesi parassiti". Peccato che questa sia l'opinione del massimo consesso giuridico del Paese leader in Europa e conferma quanto sostenuto da un'opinione consolidata: "quando i giuristi si improvvisano economisti, è la fine".

E' chiaro che le Corti nazionali soffrano il primato di quelle dell'UE. In questa pandemia poi, è stato più volte dimostrato che i Paesi nordici non vogliono addossarsi la responsabilità della fine dell'Europa ma non vogliono fare molto nemmeno per salvarla. Ma ciò non è da accostare a cause politiche, poiché la stessa Angela Merkel ha ribadito che la Germania dovrà fare "qualche sacrificio in più", ma a motivi puramente economici. A questo punto, l'UE potrà salvarsi solo se la politica, animata da spirito comunitario, risponderà alla vistosa sciatteria dell'interesse economico.

L'ultima piccola osservazione che si può cogliere da questo episodio è la fallacia del populismo nostrano, il quale si domanda come mai la Germania difenda i suoi interessi economici. Una domanda che gli stessi dovrebbero rivolgere ai colleghi tedeschi, i quali si sono semplicemente spinti contro "i banchieri di Bruxelles". Si potrebbe dire con una certa ironia che "agli italiani piace fare i populisti con i soldi degli altri".

La retorica dei populisti italiani ha dipinto l'Unione Europa come una matrigna che ci impedisce di spendere i nostri soldi, permettendo ciò solo a Olanda e Germania. Ciò non corrisponde al vero: non siamo seduti su una montagna di miliardi che non ci viene concesso spendere.

Si tratta di un epilogo molto pericoloso e che instilla nella mente del popolo un negativo sentimento di rivalsa. Impulsi simili possono essere rinvenuti, come si è visto, in diversi Paesi europei. La politica ha molto da fare affinché questi tentativi di minare la stabilità europea vengano disinnescati. Non è più il tempo di tergiversare, ne vale il futuro dell'intero continente.