Cosa ci insegna l'epidemia
di Nicola Strambio
Sono momenti questi, per un ragazzo, in cui molto viene meno. In quel "molto", per me c'è tutto. Socialità, scuola, vita all'aria aperta.
Sono momenti questi in cui ci si ferma e si pensa. Riflessioni su cui poco ci si soffermava prima, vuoi per la frenesia della quotidianità, vuoi perché la vita normale non presuppone questi pensieri.
Insomma, ci si ritrova ad accorgersi, chi prima, chi dopo, che nonostante si cerchi di evadere da queste riflessioni che tanto mettono a nudo paure e incertezze, qualcosa è cambiato. Qualcosa in ognuno di noi, magari nelle prospettive di vita, magari nella semplice concezione della nostra quotidianità.
Per me questo momento è arrivato di notte, qualche giorno fa. Fissavo il soffitto sdraiato sul letto, nero, non lo vedevo, quindi non so se si possa dire che lo fissassi. Però ad un tratto mi è venuto un mente qualcosa.
La mia prima prova di vita. Tutto è cambiato, questi avvenimenti segnano il mio futuro e lo cambiano. Inutile perpetuare la normalità, è persa.
Sono stato molto tempo fermo, a riflettere su un pensiero all'apparenza banale. E ne sono uscito contento. Davo un senso a quella fastidiosa sensazione di limbo, a quella bolla in cui mi trovavo, e in cui tutti si trovano costretti. Una stranissima sensazione, quella di trovarsi in una bolla: vivi, ma ti sembra di non vivere, perché hai perso i contatti. Col mondo, con gli altri. Con te stesso, che stavi crescendo radicando il tuo essere nel normale.
Normale e reale
Dopo questo incipit molto lungo, giungo alla mia prima domanda. Cosa è normale.
Se una persona qualsiasi mi avesse fatto questa domanda due mesi fa, o anche solo il 22 febbraio, io mi sarei trovato in difficoltà a rispondere. Non per la fatica a trovare una risposta, ma perché consideravo questa talmente implicita, talmente scontata, da non necessitare alcun approfondimento. Avrei risposto: la realtà è normale, il resto è fantasia.
Ora, in verità, il concetto di normalità ha tormentato sempre gli uomini, perché essa rappresenta il nostro rapporto con la realtà, che a differenza della normalità non è controllabile. Infatti gli uomini, per far fronte a questa fastidiosa, destabilizzante ed infinitamente complessa realtà hanno dovuto creare un recinto, mi piace chiamarlo così, una radura ove ci si possa muovere nel conosciuto, navigare a vista tranquillamente. Questa è la normalità. Essa è la base delle leggi, ma anche delle religioni, non nel senso di Dio stesso, ma in ciò che gli uomini interpretano essere il Suo volere. Pensiamo alla Bibbia, al giardino dell'Eden. All'albero proibito. Gli uomini fin da subito hanno definito cos'è normale, perché ciò permette loro di sopravvivere.
Finita l'età della pietra, e tutti i periodi conseguenti in cui la vita era ogni giorno più o meno gravemente minacciata, siamo giunti ad un punto in cui la normalità poteva essere estesa, perché non sussistevano più le ragioni di avere un recinto così stretto. Abbiamo iniziato ad allargarlo, e qui sto parlando ad esempio delle lotte sociali delle donne, dei neri, dei gay che hanno segnato il secolo scorso, con le proteste, per esempio, di coloro che invece, secondo le loro motivazioni con ogni ragione, volevano che questo recinto rimanesse per noi ben definito. Per alcuni la normalità è diventata "ciò che è comune", non più un dogma imposto per la nostra sopravvivenza.
Ma oggi, oggi cosa rispondo? Normale è comune, è reale, è ciò che non è fantasia? Cosa è divenuta la normalità e, non meno importante, oggi stiamo vivendo una normalità futura?
La risposta che ora mi do è che sì, sto vivendo una normalità. Ed è normale perché la vivo. Dove vivo, intorno a me il mio recinto si sposta, perché la mia mente fa questo automaticamente. Quindi si presenta la vera questione. La difficoltà non sta nell'avere una normalità, ma accorgersi che il contesto in cui la collochiamo è cambiato. La realtà è più fluida della nostra normalità. Dovremo, e dovrò, imparare a farci i conti.
Noi e loro
Questa epidemia ci insegna che oggi non esiste più il noi e il loro, differenziazione che la nostra mente, il nostro stesso istinto del normale ci ha imposto per secoli. Nella realtà in cui viviamo, così interconnessa, le nostre percezioni istintive (peraltro provate da diversi studi), che rivolgono l'attenzione al nostro piccolo, sono obsolete. I nostri istinti non appartengono più alla nostra realtà, sono lasciti di una normalità passata. Le nostre stesse divisioni mentali non si sono adattate, né, lo dice Darwin, lo faranno per un po', al contesto che noi stessi abbiamo sviluppato così rapidamente.
Chi, ad esempio, ha pensato a gennaio che l'epidemia dalla Cina potesse arrivare a minacciarci così seriamente? Io di certo no, perché, come molti credo, avevo una vocina che mi suggeriva che i cinesi stanno in Cina, e a Cina è molto lontana da me. Ed è la stessa vocina che mi ha fatto interessare seriamente alla questione quando il virus è arrivato a Lodi, a una cinquantina di chilometri da casa mia.
Certo, questo istinto ha i suoi lati positivi: quando si è minacciati nel personale, si fanno cose inimmaginabili, che peraltro sarebbe possibile fare se le vedute fossero più ampie. Chiedendo scusa a coloro che dicono che la storia non si fa coi se, aggiungo che se le vedute fossero state più ampie, avremmo dato ascolto alla miriade di scienziati ed analisti che dicevano che questa epidemia sarebbe arrivata, e forse l'avremmo affrontata più preparati.
Ma oggi, il futuro lo possiamo fare coi se, anzi, con i "quando". Quando le vedute saranno più ampie, vorrà dire che questo "noi e loro", questa classificazione istintiva, sarà sorpassata. Dovremmo davvero riflettere sulla rigidità della nostra mente. A questo proposito, ammetto che mi è scappato un sorriso un po' colpevole quando ho sentito che dopo Cina e Cuba, anche la Russia ci aveva mandato aiuti piuttosto consistenti. Noi; e loro. Insomma, ho pensato a quanto sia inutile, e per giunta controproducente pensare che ci siano dei loro, degli antagonisti per forza. E quanto sia invece utile collaborare, unire le forze con vecchi amici, nemici e sconosciuti.
Credo quindi sia chiaro (ut patet, direbbero i Latini) che per superare questa crisi sia richiesta cooperazione. Per alcuni sarà necessario riflettere su cosa è normale per loro, e superare la loro normalità in nome della realtà. Bisogna adattarsi, ed evitare modalità di pensiero che andrebbero chiamate anacronistiche per affrontare un problema.
La bava di ragno
Non so se si tratti di un caso (non credo nel destino), ma prima della chiusura delle scuole stavo leggendo Cecità di Saramago. Il libro, un po' inquietante ma che consiglio vivissimamente, narra di un male improvviso, una cecità bianca che contagia gli abitanti di una democrazia in un futuro distopico. I contagiati vengono messi in quarantena, il governo assume il controllo di ogni aspetto della vita di questi uomini che, nella loro quarantena (o prigionia), si trovano a sperimentare nei loro occhi quanto la nostra società sia fragile, e quanto facilmente possa sgretolarsi, ma anche riprendersi: il finale aperto del libro lascia il lettore col fiato sospeso, e una domanda, dopo questo, cosa succede?
Ho finito il libro il primo lunedì di chiusura delle scuole, me lo ricordo ancora. E sono rimasto colpito e inquietato. Avevo iniziato a leggerlo classificandolo come un volume distopico, quasi alla pari di Hunger Games o di La Strada. L'ho finito considerandolo un libro futuribile. E ho pensato, e ripensato agli orrori che avevo letto, capendo di trovarmi nelle prime dieci pagine del romanzo. Anche qui, la riflessione è stata un fulmine a ciel sereno: quanto è fragile la nostra società.
Pensiamoci bene: tralasciando una miriade di implicazioni e corollari teoricamente non tralasciabili, il nostro stato, ma anche tutti gli altri nella nostra situazione, hanno rischiato il collasso del sistema sanitario con una percentuale di malati sintomatici inferiore allo 0,2% della popolazione.
Siamo, temo, agli albori di una nuova e molto estesa crisi economica, checché gli Stati cerchino di contenere gli effetti nefasti della quarantena sull'economia. Coloro che mi preoccupano maggiormente non sono le banche, o i grandi istituti di credito, ma i più poveri, per esempio i riders, o i lavoratori a giornata. Negli Stati Uniti la richiesta per il sussidio di disoccupazione è passata da circa trecentomila persone a tre milioni e duecentomila in pochi giorni. E tutto questo per poche settimane di chiusura. Non vi è soluzione semplice: non si può riaprire la quarantena, ma non si può nemmeno lasciare morire di fame milioni di persone. E in casi come questi non si possono fare meri calcoli di convenienza, bisogna trovare soluzioni che conservino l'umanità di quelli a cui sono dirette.
Certo, si potrebbe pensare che dopo una guerra l'economia esplode (pensiamo al secondo dopoguerra per l'Italia), perché si riparte dalle macerie, e ogni mattone porta con sé lavoro. Ma nella guerra dei divani e del fronte casalingo non sono cadute bombe, e non ci sono mattoni da ricollocare. Ci sono solo montagne di debiti da ripagare. E c'è chi guadagna. Per questo motivo, e non per altro, l'Europa non ha ancora deciso l'emissione dei "coronabond" da parte della BCE, lasciando i paesi come il nostro appesi, ed appiccicati, ad una bava di ragno.
La nuova realtà
In questo periodo ho faticato molto a trovare musica da ascoltare, perché semplicemente non ve n'è nessuna che rispecchi questo periodo, né tanto meno le mie sensazioni.
In queste riflessioni sono arrivato a considerare questo periodo un interludio, un fermo immagine tra due pellicole diverse, che in futuro segnerà un prima e un dopo. Sarà, l'anno che verrà, un anno incerto, e io scrivo per distrarmi un po' da questi pensieri. Forse Lucio era anche veggente.
L'anno vecchio è finito ormai, e sta iniziando quello nuovo. Chissà che non cambieremo, chissà che come dicono i miei nonni che fino a poche ore fa consideravo idealisti, che saremo noi giovani a ricostruire le idee e i modi di pensarle.
Gli adolescenti lo sanno: cambiare prima e accorgersene dopo è un conto, ma cambiare accorgendosene è un altro. Questa è la sfida che lancio e che mi lancio: cambiare e, se i tempi lo permetteranno, ripensare la nostra vita, ognuno con le sue idee, ripensando a noi stessi.
L'Anno Che Verrà (Caro Amico Ti Scrivo), Lucio Dalla