Forza Italia si metta al lavoro
di Lorenzo Gioli

La recente crisi di governo offre notevoli spunti di riflessione sulla natura dei due azionisti di maggioranza: Matteo Salvini e Luigi Di Maio. Il primo ha deciso di staccare la spina nella giornata di giovedì, annunciando la propria discesa in campo nel ruolo di candidato premier. Il leader del M5S ha invece accusato la Lega di tradimento. Ovviamente mi riferisco al Presidente Conte, che secondo alcuni ambisce alla carica di capo politico dei grillini, e non a Luigi Di Maio, di cui guarda caso quasi tutti i quotidiani nazionali hanno parlato poco e che ormai non gode più nemmeno della fiducia dei suoi accoliti più stretti. All'indomani della caduta di un esecutivo nato e deceduto nel giro di circa quattordici mesi restano però alcune domande. Salvini ha scatenato la crisi di governo, imputando ai 5 Stelle la colpa di essersi opposti al Tav Torino-Lione, alla Riforma della Giustizia, alla separazione delle cariche per i giudici e ad altre questioni fondamentali. La cosiddetta "politica dei no". Il che, in linea del tutto generale, potrebbe anche essere vero.
Tuttavia, non mi pare che l'ostilità di Di Maio verso il Carroccio sia ascrivibile esclusivamente agli ultimi tre mesi di governo. Riforme di stampo pentastellato come Reddito di Cittadinanza e Quota 100 sono state avallate anche dalla Lega, che invece si era ripromessa fin dalla scorsa campagna elettorale di introdurre la flat tax: uno shock fiscale che avrebbe garantito da una parte un drastico calo dell'evasione fiscale, dall'altra maggiore benessere per i cittadini. Ed è proprio questo che mi spinge a chiedere al Ministro dell'Interno perché abbia aspettato così a lungo per rompere con Di Maio e tornare al voto. La risposta più istintiva è che la sua non sia stata una scelta dettata dal buonsenso, ma dal desiderio di incassare consensi sicuri. Il leader della Lega ha affermato di voler proseguire la propria azione politica da solo, senza l'aiuto di alleati minori come Giorgia Meloni, che negli ultimi mesi ha sposato le stesse identiche tesi di Salvini perdendo così la propria identità. Non nutriamo alcuna fiducia nel futuro se lo scenario rimane invariato.
Da una parte abbiamo una destra a trazione leghista, incurante dei problemi delle piccole e medie imprese, che si dedica esclusivamente a fare campagna elettorale lucrando sulla pelle degli Italiani. Dall'altra un centrosinistra privo di figure carismatiche e ancora ancorato a un'ideologia vetero-comunista in cui nessuno crede ormai più. A meno che non salti fuori da dietro le quinte un nuovo personaggio che desti la curiosità degli spettatori, l'opera buffa a cui stiamo assistendo da un anno a questa parte ci pare stupida e inconcludente. Detto questo, nonostante i sondaggi lo diano ormai per morto, potrebbe essere questo il miglior momento per rilanciare un partito del quale tutti si sono dimenticati, ma in cui molti - in un tempo lontano - hanno creduto: Forza Italia.
Mai come ora, il nostro Paese necessita di una destra liberale che faccia proposte concrete: abbassamento del cuneo fiscale, maggiori finanziamenti per le grandi opere necessarie allo sviluppo della Nazione, abolizione del bicameralismo paritario, la nascita di un'Europa più equa con la quale rinegoziare i termini della nostra contribuzione monetaria e limiti più severi riguardo al fenomeno migratorio.
Il leader della Lega ha dimostrato di essere un discreto Ministro dell'Interno, in grado di proseguire le sagge politiche di Minniti. Al netto di questa premessa, non mi pare che Salvini possa ambire ad ottenere la fiducia di un larga fetta di elettorato - oggi costituita in gran parte da astensionisti - che aspetta solo di tornare a casa. Perché FI possa risorgere dalle proprie ceneri, occorre però che il Cav. si metta da parte, lasciando spazio a una nuova classe dirigente più consapevole e innocente di quella che la ha preceduta.