"Questo mondo di conformisti"

09.11.2019

di Lorenzo Gioli

Massimo Fini nasce a Cremeno, in provincia di Como, nel novembre del 1943. È considerato una delle firme più prestigiose del giornalismo italiano. Di padre toscano e di madre russa, ha collaborato con decine di testate giornalistiche, senza mai distaccarsi dal ruolo che più gli si addice: quello di bastiancontrario, sempre pronto ad esprimere la propria opinione, anche a costo di sembrare impopolare. Ed è per questo che abbiamo scelto di intervistarlo su un tema che ci sta molto a cuore: il politicamente corretto, quella sorta di pensiero unico che accetta solo ciò che è considerato unanimemente buono, giusto, condiviso, escludendo i pensieri alternativi e le opinioni stonate, bollate come pericolose senza tuttavia cercare di comprenderle. Il politicamente corretto è il conformismo delle idee.

Massimo Fini, quanto è importante per un giornalista essere "fuori dal coro"?

<Più che importante è scomodo. Soprattutto in termini di visibilità. Chi vuole fare questo mestiere deve esserne consapevole>.

Quando, nel giugno del '77, Indro Montanelli fu vittima di un attentato ordito dalla colonna milanese delle Br, il Corriere di Piero Ottone titolò: "I giornalisti nuovo bersaglio della violenza. Le Brigate rosse rivendicano gli attentati", omettendo il nome di Montanelli, come si trattasse di un cronista qualunque. Il conformismo di allora è paragonabile al conformismo di oggi?

<Quello fu uno sgarbo che Ottone fece a Montanelli. Allora il conformismo era prevalentemente di sinistra. Oggi è a 360 gradi>.

Crede che sia stato giusto istituire la «Commissione straordinaria per il contrasto ai fenomeni dell'intolleranza, del razzismo, dell'antisemitismo e dell'istigazione all'odio e alla violenza», ispirata dalla senatrice a vita Liliana Segre, scampata agli orrori dell'Olocausto?

<Assolutamente no. L'ho scritto a chiare lettere. Si tratta di un attentato alla libertà d'espressione. Si sa dove si inizia, ma non si da dove si va a finire>.

Individua un pericolo nella decisione di oscurare i profili Facebook/Instagram di CasaPound e Forza Nuova?

<Dal mio punto di vista, Facebook pone un problema ancor più importante della vicenda in sé. Ovvero l'eccessivo utilizzo che ne facciamo. I giovani trascorrono ore e ore sui social senza mai distaccarsene. Visto che esistono, però, tutti devono essere liberi di utilizzarli e di esprimere le proprie opinioni. Ovviamente se non si tratta di ingiurie, che sono condannate dall'art. 594 della nostra Costituzione>.

Sul Fatto Quotidiano del 5 aprile, Lei ha scritto un articolo molto critico sul processo di Norimberga: "Per la prima volta nella Storia i vincitori non si accontentarono di essere i più forti, ma pretesero di essere anche moralmente migliori dei vinti tanto da poterli, appunto, giudicare, facendo così coincidere il diritto con la forza, la forza del vincitore". Può spiegarci meglio quest'affermazione?

<Oggi si ha la pretesa di dire che i vincitori sono necessariamente migliori dei vinti. Dopo il processo di Norimberga, i paesi che hanno sconfitto i nazisti ne hanno combinate di tutti i colori: penso, in particolare, a Stati Uniti e Unione Sovietica. Col senno di poi, verrebbe da dire che i vincitori non fossero tanto migliori dei vinti>.

Lei ha scritto due saggi molto controcorrente, in cui ha rivalutato da un punto di vista storico e umano Nerone e Catilina. Ha più volte espresso il desiderio di insegnare ai giovani la storia in maniera non convenzionale, ma le sue richieste sono sempre state rifiutate. Ritiene che il conformismo si annidi anche nell'assetto attuale del nostro ordinamento scolastico?

<Certamente. Il conformismo prende tutte le aree del sapere, tanto la Storia passata quanto quella presente. Non a caso ho dedicato il mio libro su Nerone ai giovani perché essi imparino attraverso le menzogne della Storia di ieri quella che è per loro la più importante: la Storia di oggi>.

Il politicamente corretto sta prendendo piede non solo in politica, ma anche nel mondo della cultura, del cinema, della pubblicità e dei fumetti: il matrimonio tra Dylan Dog e il suo aiutante Groucho è l'ultima della serie?

<Non conosco la vicenda nello specifico. Quello che posso dire è che, fra i settori che hai citato, il cinema è forse quello che gode di maggior libertà. L'altro giorno, ho avuto modo di vedere un bellissimo film: "L'età giovane" dei fratelli Dardenne, incentrato sull'iniziazione di un tredicenne all'integralismo islamico. La cosa affascinante è che la pellicola non demonizza, ma anzi aiuta a capire. Il cinema indipendente esiste, anche se spesso passa sottotraccia rispetto ai kolossal prodotti dalle grandi major americane>.

Ormai due anni fa, Asia Argento denunciò Harvey Weinstein per molestie sessuali scatenando un polverone che si è abbattuto sull'intero star system hollywoodiano. Crede che il #metoo sia andato oltre la sua vocazione originale, condannando al linciaggio mediatico anche molti innocenti?

<Premesso che le prevaricazioni sessuali esistono - non solo nel mondo dello spettacolo, ma in tutte le professioni - trovo che il #metoo, dopo aver scoperchiato un gigantesco vaso di Pandora, sia degenerato in una caccia alle streghe che ha messo fine alla carriera anche di molti innocenti. Basti pensare al licenziamento di Daniele Gatti, direttore musicale dell'Orchestra Reale del Concertgebouw di Amsterdam. Mi stupisce, inoltre, che molte delle denunce siano indirizzate a presunti abusi avvenuti vent'anni fa>.