Oscar ad Anthony Hopkins: la rivalsa del baronetto gallese
di Pietro Saccomani

Non c'è alcun dubbio, la notte degli Oscar dello scorso 25 aprile è destinata a passare alla storia. E' stata una ricorrenza importante sotto svariati punti di vista: in primis, naturalmente, è stato uno dei primi eventi cinematografici a svolgersi quasi del tutto in presenza dopo la pandemia di COVID-19, che da più di un anno tiene il mondo dello spettacolo (e il mondo intero) in ostaggio e ha messo a grave rischio la sua stessa sopravvivenza.
Com'era da aspettarsi, le critiche non sono state poche: alcuni hanno espresso perplessità (eufemisticamente parlando) riguardo la discutibile priorità di tale evento, altri invece hanno ferocemente attaccato l'Academy per aver messo in piedi una serata molto più lenta e "noiosa" del solito.
E' chiaro, non sono stati gli Oscar che tutti conosciamo, e a questo va anche aggiunta la frustrazione di noi italiani che ancora non abbiamo avuto modo di vedere gran parte dei film candidati, ma aspettarsi questo era decisamente chiedere troppo e in più (chi ha seguito la serata in diretta potrà senza indugio confermarlo) non era in alcun modo possibile fare di meglio.
La regia dell'evento è stata affidata al celebre cineasta Steven Soderbergh, che ha coraggiosamente stabilito di trasferire la cerimonia dallo storico Kodak Theatre alla recentemente ristrutturata Union Station di Los Angeles, riducendo così al minimo l'affluenza di pubblico per limitare il pericolo di assembramenti e finendo per dar vita ad un clima estremamente intimo, quasi d'altri tempi, in cui hanno fatto la loro comparsa decine di grandi star, tra cui Harrison Ford, Regina King, Laura Dern, Renée Zellweger e Brad Pitt.
Trionfatore indiscusso della serata è il film Nomadland, vincitore come miglior film, miglior regia (Chloé Zao è la prima regista donna ad aggiudicarsi il premio dai tempi della vittoria di Kathryn Bigelow per The Hurt Locker) e miglior attrice protagonista (la grandissima Frances McDormand è ormai ad una sola statuetta per eguagliare il record storico di Katherine Hepburn).
Nel corso della serata è stato però impossibile non notare l'assenza di uno dei più illustri candidati: sir Anthony Hopkins, uno dei più iconici attori britannici della sua generazione e candidato nella categoria di miglior attore protagonista per la performance in The Father, in cui interpreta il dramma di un uomo vittima dell'Alzheimer. Non era presente alla premiazione, né in persona, né via Zoom, come svariati candidati hanno invece fatto.
L'attore infatti, già premio Oscar per Il Silenzio degli Innocenti, ha preferito, a causa della sua età avanzata e dai problemi che il viaggio avrebbe potuto arrecare, aspettare i risultati dell'evento nella sua casa nel natio Galles, a cui è sempre stato indissolubilmente legato da un profondo affetto.
In realtà, come egli stesso ha avuto modo di affermare il giorno seguente, non si può certo dire che fosse sulle spine.
Sarebbe d'altronde difficile dargli torto. L'intera comunità di Hollywood e i cinefili di pressoché tutto il mondo erano infatti certi che il premio sarebbe andato al compianto attore Chadwick Boseman, candidato per il film targato Netflix Ma Rainey's Black Bottom e disgraziatamente deceduto a soli 43 anni a causa di un cancro al colon, cosa che le quotazioni degli allibratori di Los Angeles hanno ampiamente confermato.
E invece, stravolgendo del tutto le aspettative di una serata che sembrava già scritta, l'attore Joaquin Phoenix, dal palco della cerimonia, ha annunciato la vittoria di Anthony Hopkins (che nel frattempo era già a dormire da un bel pezzo), facendo di lui un due volte premio Oscar e l'interprete più anziano a ricevere la statuetta (record detenuto prima di allora da Christopher Plummer).
La mattina successiva, come si addice ad un professionista della sua levatura, Hopkins ha postato sui social un discorso di ringraziamento nei confronti dell'Academy, in cui ha anche reso omaggio all'illustre "avversario" Boseman, che "ci è stato portato via troppo presto".
Benché oggi appaia come un uomo soddisfatto della sua vita e un attore che non avrebbe potuto ottenere di più dalla carriera nel mondo dello spettacolo, sarebbe del tutto inappropriato affermare che quella di Anthony Hopkins sia stata una vita facile.
Nato nel 1937 nei sobborghi Margam, nel Galles meridionale, figlio unico di una casalinga e di un panettiere, il piccolo Anthony trovò nella recitazione e nello studio del pianoforte (in cui tutt'ora eccelle anche in qualità di compositore) un rifugio dalla forte timidezza in cui era sprofondato a causa della dislessia e, con il passare degli anni, si fece un nome da futura promessa del teatro.
Richard Burton, che ebbe modo di vederlo in scena, individuò in lui un forte potenziale, incoraggiandolo ad entrare alla Royal Academy of Dramatic Art di Londra, che gli aprì le porte per la compagnia teatrale di Laurence Olivier.
Da beniamino dei ruoli shakespeariani, Hopkins approda nel corso degli anni sessanta alla televisione e al cinema, in cui si impone con l'interpretazione del giovane Riccardo Cuor di Leone nel capolavoro Il Leone d'Inverno, in cui si dimostra all'altezza di condividere la scena a meraviglia con icone del calibro di Katherine Hepburn e Peter O'Toole.
Gli anni settanta sono stati un periodo turbolento per questo interprete la cui strada sembrava ormai tutta verso il successo, anni in cui dovette fronteggiare complicate situazioni personali tra cui la dipendenza dall'alcol, che è riuscito a sconfiggere grazie agli Alcolisti Anonimi (non beve più dal 29 dicembre del 1975).
Torna alla ribalta grazie alla commovente e indimenticabile interpretazione del misericordioso dottor Treves in The Elephant Man di David Lynch, ma la reale consacrazione a divo internazionale arriva nel 1991, quando veste i panni del serial killer Hannibal Lecter ne Il Silenzio degli Innocenti, film che lo rende celeberrimo e lo porta al primo Oscar.
Gli anni successivi sono molto proficui per Hopkins, che regala al pubblico interpretazioni straordinarie in pellicole come Quel che Resta del Giorno, Viaggio in Inghilterra , Vento di Passioni e Gli Intrighi del Potere.
Il successo, sebbene il ruolo di Hannibal Lecter gli rimanga indiscutibilmente attaccato per molto tempo rischiando di renderlo un interprete di maniera, continua per tutti gli anni duemila, in cui recita, tra gli altri, in La Macchia Umana, Passioni e Desideri e Il Caso Thomas Crawford.
Il successivo decennio non è particolarmente luminoso per l'attore e dopo svariati anni passati a interpretare ruoli secondari e purtroppo sempre pericolosamente simili, sono stati in molti a ritenerlo erroneamente un attore finito, intrappolato nella sua più celebre interpretazione.
Ma, nel 2019, il baronetto gallese è tornato alla ribalta con la sua contemporaneamente solida e sottile interpretazione di Benedetto XVI nel film di successo I Due Papi, di Fernando Meirelles, mettendo a tacere coloro che già lo credevano a corto di cartucce e venendo nuovamente candidato all'Oscar.
Quest'anno ha ufficialmente superato sé stesso con un'interpretazione che noi italiani non stiamo nella pelle di vedere nelle nostre sale e che già fior fiore di critici hanno elogiato come la migliore della sua carriera.
Non si poteva augurare di meglio a questa leggenda vivente, ancora una volta in sella, che come abbiamo potuto vedere dal video ormai diventato virale, ha festeggiato la sua vittoria ballando allegramente con l'amica Salma Hayek sulle note di Dance Me to the End of Love di Leonard Cohen.